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SEPARAZIONE LEGALE : L’eredità ricevuta dopo la separazione può incidere sull’assegno di mantenimento?

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2011 16:37
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18/02/2011 16:11

L’EREDITÀ RICEVUTA DOPO LA SEPARAZIONE PUÒ INCIDERE SULL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO?
Andrea Paganini
(Estratto da Diritto e Processo formazione n.1/2011)
QUAESTIO IURISL’art. 5 della legge 898 del 1970 individua quali presupposti devono sussistere per la concessione dell’assegno di divorzio a favore di un coniuge e a carico dell’altro.
Essi sono:
1) La mancanza di mezzi adeguati;
2) L’impossibilità oggettiva di procurarseli

L’assegno divorzile (a differenza dell’assegno di contributo al mantenimento stabilito nel giudizio di separazione) ha un fondamento essenzialmente etico - sociale, di vera e propria solidarietà post-coniugale. Non a caso ha natura esclusivamente assistenziale. Prescinde, in virtù dello scioglimento del matrimonio, dagli obblighi di mantenimento che permangono anche in regime di separazione e costituisce invece un vero e proprio effetto diretto della pronuncia di divorzio.L’adeguatezza dei mezzi è innanzitutto valutata con riferimento al tenore di vita tenuto durante il matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, considerate al momento del divorzio (Cass. Sez. I, 8 ottobre 2008, n. 24858). Tale tenore funge quindi da vero e proprio parametro di riferimento sul quale “misurare” l’adeguatezza o meno delle risorse di cui dispone il coniuge richiedente l’assegno di divorzio. Al riguardo, occorre però considerare il tenore di vita potenziale e non quello eventualmente più “basso” tollerato, subito o concordato nel corso del matrimonio (Cass. Sez. I 26.11.1996, n. 10465).Da quanto sopra esposto, si comprende che l’inadeguatezza dei mezzi non deve necessariamente rasentare lo stato di bisogno, pertanto l’avente diritto all’assegno potrebbe anche essere economicamente autosufficiente. Infatti l’art. 5 della legge sul divorzio subordina la concessione dell’assegno non già ad una situazione di indigenza, bensì all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge a consentirgli il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. 27.7.2005, n. 15726).
Superata positivamente la “prima fase” di accertamento in astratto del diritto all’assegno di divorzio, occorre poi quantificare e liquidare in concreto l’ammontare dell’assegno.
Per fare questo, l’art. 5, comma 6 della legge sul divorzio individua diversi criteri:
1) le condizioni dei coniugi;
2) le ragioni della decisione;
3) il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune;
4) il reddito di entrambi;
5) la durata del matrimonio (tenendo eventualmente conto anche della convivenza pre-matrimoniale).
Accanto a questi elementi così indicati dal legislatore, ve ne sono altri elaborati nel corso degli anni dalla giurisprudenza e dalla dottrina, tra cui, ad esempio:
a) la rilevanza del godimento della casa coniugale, nella misura in cui costituisce un risparmio di spesa per il coniuge assegnatario;
b) i cespiti di cui ciascun coniuge dispone (patrimonio immobiliare, relativo trattamento fiscale e presumibile valore di realizzo);
c) elargizioni da parte dei familiari se costanti e contribuenti in misura continua, durante la convivenza, al ménage della famiglia;
d) altri emolumenti di carattere straordinario, se percepiti con continuità (così riassume tali criteri il Tribunale di Novara, 31.3.2010 in NovaraIUS.it).
Al riguardo la Cassazione ha avuto modo di precisare che non è necessario che il giudice consideri sempre, in ogni caso sottoposto al suo esame, tutti i criteri sopra individuati, l’importante è che ne dia sempre adeguata motivazione nella sentenza.L’assetto economico definito in sede di separazione è invece irrilevante per la quantificazione dell’assegno divorzile. Tutt’al più potrebbe essere considerato come indice di riferimento, nella misura in cui fornisce validi criteri di valutazione utilizzabili in sede di divorzio, ma non può costituire elemento autonomo per determinare la somma (così Cass., sez. I, 23.6.2008, n. 17017). Del pari è irrilevante la mancata richiesta di un assegno di mantenimento in sede di separazione.In particolare, dopo la separazione, possono subentrare fattori nuovi e sopravvenuti che modificano le condizioni dei coniugi e consentono quindi di giungere ad una determinazione dell’ammontare dell’assegno divorzile diversa da quanto eventualmente stabilito in sede di separazione. Infatti, incide sicuramente sull’accertamento dei redditi il fatto che il coniuge obbligato abbia formato una nuova famiglia, magari con altri figli. Così pure può portare alla negazione dell’assegno, il fatto che il coniuge richiedente abbia instaurato una convivenza more uxorio con altra persona in maniera stabile, duratura e che (soprattutto) influisca davvero in melius sulle condizioni economiche dell’avente diritto.Certamente per la quantificazione dell’assegno sono influenti gli incrementi reddituali del coniuge obbligato, successivi alla separazione che siano però connessi ad aspettative maturate nel tempo (così Cass. 2273/96, Cass. 17103/02).Proprio sul punto si pone la sentenza della Corte di Cassazione del 14.10.2010, n. 23508: in che misura l’incremento del patrimonio dovuto ad un lascito ereditario può incidere sull’accertamento dei redditi dei coniugi e quindi sull’ammontare dell’assegno di divorzio?E’ bene notare, al riguardo, che all’inizio del 2010 la stessa Sezione I della Corte di Cassazione, con la sentenza 398 del 13 gennaio, si era dimostrata estremamente rigorosa in argomento. Gli ermellini avevano infatti precisato che, per la comparazione tra i redditi dei coniugi, devono necessariamente escludersi i beni pervenuti in successione dopo la separazione, non essendo il frutto di un normale sviluppo della situazione preesistente, in linea con l’art. 179 c.c. lett. B. Quindi cassando con rinvio, la Suprema Corte ha imposto alla Corte d’Appello di procedere “ad un nuovo esame attraverso la comparazione, sulla base degli elementi emersi, fra i redditi dei due coniugi, tenendo presente l’assetto economico esistente in costanza di matrimonio e le attuali condizioni dello S., senza considerare ovviamente tutti quei beni pervenutigli in successione dopo la separazione”.Sulla scia di tale insegnamento, nel febbraio del 2010 anche il Tribunale di Prato (sentenza 3.2.2010) ha deciso che gli acquisti di beni ereditari per successione mortis causa rilevano ai fini della modifica dell’assegno di mantenimento in favore del figlio, ma non in favore dell’altro coniuge “in quanto non costituiscono sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio, ma scaturiscono da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del matrimonio ed aventi carattere di eccezionalità”.
La SOLUZIONE di Cassazione, Sez I, 14 ottobre 2010, 23508 Giungendo a più miti consigli, La Cassazione con la sentenza del 14 ottobre 2010 ha inizialmente ribadito che“l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio va effettuato verificando l’adeguatezza dei mezzi (o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio che trovino radice nell’attività all’epoca svolta e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dell’onerato, e cioè solo di quegli incrementi delle condizioni patrimoniali dell’ex coniuge che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio (Cass. 2273/96; Cass. 5720/97; Cass. 4319/99; Cass. 17103/02)”.In particolare, con riferimento al caso che ci occupa, ha chiarito che “[…] le aspettative ereditarie sono sino al momento dell’apertura della successione prive, di per sé, di valenza sul tenore di vita matrimoniale e giuridicamente inidonee a fondare affidamenti economici. Con la conseguenza che, mentre le successioni ereditarie che si verifichino in costanza di convivenza coniugale, incidendo sul tenore di vita matrimoniale, concorrono a determinare la quantificazione dell’assegno dovuto dal coniuge onerato, quelle che si verifichino dopo non sono idonee ad essere valutate, sotto detto profilo, secondo i principi sopra indicati (Cass. 12687/07)”.Quindi “l’acquisizione di beni per via successoria dopo la cessazione della convivenza non influisce nella valutazione del tenore di vita tenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio e, sotto tale profilo, non rileva ai fini della determinazione dell’assegno divorzile. Ciò tuttavia, non vuol dire che i beni in questione non debbano essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge che viene gravato dell’assegno divorzile, dovendo tale valutazione essere fatta sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 5 della legge 898/70, in ragione delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio (Cass. SS.UU. 29 novembre 1990, n. 11490, alla quale si è conformata, consolidandosi, la successiva giurisprudenza di questa Corte).In virtù di detto disposto normativo, pertanto, il reddito di entrambi i coniugi da stimarsi all’attualità ed in concreto tramite un adeguato accertamento costituisce uno dei criteri da applicare nella determinazione dell’assegno di divorzio”In conclusione “nel caso di specie pertanto non è dubbio che la disponibilità patrimoniale acquisita dal M. in via ereditaria, in quanto costituente in ogni caso una voce reddituale, debba essere valutata ai fini di cui sopra, ed in tale prospettiva appare corretta la valutazione effettuata dalla Corte d’appello”.Riassumendo, le successioni ereditarie che si verificano durante la convivenza coniugale incidono certamente sul tenore di vita matrimoniale e quindi anche sulla diritto all’assegno in favore del coniuge “debole”.Al contrario, quelle avvenute dopo la cessazione della convivenza, non possono configurarsi come miglioramenti frutto di un ragionevole sviluppo delle situazioni ed aspettative maturate durante il matrimonio e quindi non hanno riflessi diretti sulla valutazione del tenore di vita tenuto durante la convivenza (non rientrano così nell’anzidetta “prima fase” della valutazione del giudice in tema di assegno di divorzio). Tuttavia, sicuramente incidono sulla ricostruzione e comparazione delle situazioni reddituali e sull’accertamento della capacità economica del coniuge gravato, come indicato sopra (n. 4) in concorso con gli altri elementi di valutazione contenuti nell’art. 5, comma 6 della legge 898/07.
[Modificato da magiadimaglia 18/02/2011 16:37]
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