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Se il datore di lavoro non ti versa lo stipendio

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2014 18:02
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Città: MONREALE
Età: 56
Sesso: Femminile
18/07/2014 18:02


1. NON QUIETANZARE LA BUSTA PAGA
La prima importante precauzione che deve seguire il lavoratore è quella di non firmare “per quietanza” la busta paga se, contestualmente, non gli viene versato lo stipendio.
A riguardo, è bene fare molta attenzione alla busta paga. A fondo di tale documento, normalmente, c’è lo spazio destinato alla firma del dipendente. La firma può essere rilasciata per due diverse finalità:
a conferma del ricevimento della busta stessa (“per ricevuta e presa visione”);
o, anche, a conferma dell’avvenuto pagamento dell’importo (cosiddetta quietanza).
Ebbene, se il datore di lavoro non ha corrisposto la somma dovuta, il lavoratore potrà firmare e attestare, senza alcun pregiudizio per sé, il ricevimento del documento, ma farà bene a non firmare anche la quietanza. Se così facesse, infatti, egli riconoscerebbe di aver ottenuto il pagamento e, qualora ciò non fosse vero, la sua tutela in tribunale sarebbe più lunga e complicata. Infatti, la giurisprudenza ritiene che il lavoratore – che voglia recuperare i propri crediti di lavoro – possa ricorrere al procedimento più semplice e veloce del decreto ingiuntivo solo se le buste paga non sono state firmate per quietanza.
Diversamente, egli potrà sempre attivare una causa ordinaria per l’accertamento del proprio credito, ma i tempi si dilateranno enormemente.
Diversa cosa, invece, succede se la busta paga viene integralmente pagata, ma il lavoratore ha di che lamentarsi dell’importo ricevuto (e documentato nella busta stessa), perché lo ritiene non congruo al lavoro effettivamente svolto. In tal caso, egli può intraprendere una causa per ottenere le differenze retributive, a prescindere dall’aver firmato per quietanza la busta paga.
2. LA PRESCRIZIONE E’ LONTANA
Se il lavoratore non è un dirigente ed è ancora dipendente del datore moroso, non deve preoccuparsi della scadenza dei termini per esigere quanto gli è dovuto. Infatti, perché si prescriva il diritto del lavoratore ad ottenere il pagamento dello stipendio devono passare ben cinque anni dalla data della fine del rapporto di lavoro (a tal proposito si veda questa guida).
3. LA MESSA IN MORA LA PUO’ SCRIVERE IL LAVORATORE
Non c’è necessariamente bisogno dell’avvocato per ricordare al datore di lavoro che è in mora coi pagamenti. Anzi, a volte un semplice sollecito fatto anche per iscritto dallo stesso dipendente e non dal legale serve a non inasprire gli animi e, nello stesso tempo, a “ricordare” all’imprenditore i propri doveri contrattuali.
Ai sensi dell’art. 1219 del codice civile “Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto. Non è necessaria la costituzione in mora: 1) quando il debito deriva da fatto illecito; 2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguire l’obbligazione; 3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore. Se il termine scade dopo la morte del debitore, gli eredi non sono costituiti in mora che mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto, e decorsi otto giorni dall’intimazione o dalla richiesta”.
A far scrivere dall’avvocato, dunque, c’è sempre tempo.
Fac simile Lettera di messa in mora
4. C’E’ SEMPRE LA POSSIBILITA’ DI UN TENTATIVO DI CONCILIAZIONE
In una progressione sempre più incisiva delle tutele, la legge consente al lavoratore di rivolgersi alla Direzione Territoriale del Lavoro (DTL).
In questa sede, il primo gradino che è possibile (ma non obbligatorio) compiere è quello di chiedere un tentativo di conciliazione facoltativo presso la relativa commissione.
In pratica, il lavoratore presenta, anche personalmente (non c’è bisogno dell’avvocato) al relativo ufficio, una richiesta scritta di convocazione della Commissione di conciliazione (in genere, ogni DTL ha dei modelli prestampati da compilare; diversamente, bisognerà indicare i nomi delle parti, la natura del rapporto di lavoro; il credito maturato e le buste paga non corrisposte).
La richiesta è gratuita.
La Commissione comunicherà successivamente alle parti una data di udienza e, in quella sede, assistite da un rappresentante ciascuno, le parti verranno stimolate a trovare un accordo.
Anche in questa fase, il lavoratore non ha bisogno dell’assistenza necessaria di un legale.
Se le parti trovano un accordo, il relativo verbale è titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro; per cui, se quest’ultimo non mantiene fede agli impegni presi con la conciliazione, il lavoratore avrà un documento della stessa efficacia di una sentenza della Cassazione (cioè non più modificabile o impugnabile).
Fac simile Richiesta di conciliazione
5. CHIEDERE L’INTERVENTO DEGLI ISPETTORI
Se, invece, il lavoratore vuole agire in modo molto più incisivo nei confronti del datore inadempiente, potrà presentarsi presso la Direzione Territoriale del Lavoro e chiedere una conciliazione monocratica. Si tratta di un procedimento che, così come quello appena visto, è facoltativo ed è volto a trovare una intesa tra le parti. Ma, a differenza del precedente, qualora esso fallisca, gli ispettori del lavoro procederanno a una verifica presso la sede del datore di lavoro per accertare che questi non abbia violato le norme lavoristiche e sui contributi. L’eventuale violazione potrebbe portare a sanzioni particolarmente severe e alte.
Proprio per ciò, tale scelta, pur essendo di efficacia molto incisiva, è anche un’arma a doppio taglio. Infatti, il datore di lavoro, costretto a pagare le sanzioni all’erario, potrebbe poi non avere più la disponibilità economica per corrispondere le somme dovute al lavoratore.
Ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs n. 124/2004 “Nelle ipotesi di richieste di intervento ispettivo alla Direzione Provinciale del Lavoro dalle quali emergano elementi per una soluzione conciliativa della controversia, la Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competente può, mediante un proprio funzionario, anche con qualifica ispettiva, avviare il tentativo di conciliazione sulle questioni segnalate.
Le parti convocate possono farsi assistere anche da associazioni o organizzazioni sindacali ovvero da professionisti cui abbiano conferito specifico mandato.
In caso di accordo, al verbale sottoscritto dalle parti non trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile.
Il verbale di cui al comma 3 è dichiarato esecutivo con decreto dal giudice competente, su istanza della parte interessata.
I versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi, da determinarsi secondo le norme in vigore, riferiti alle somme concordate in sede conciliativa, in relazione al periodo lavorativo riconosciuto dalle parti, nonché il pagamento delle somme dovute al lavoratore, estinguono il procedimento ispettivo. Al fine di verificare l’avvenuto versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, le Direzioni Provinciali del Lavoro trasmettono agli enti previdenziali interessati la relativa documentazione.
Nella ipotesi di mancato accordo ovvero di assenza di una o di entrambe le parti convocate, attestata da apposito verbale, la Direzione Provinciale del Lavoro dà seguito agli accertamenti ispettivi.
Analoga procedura conciliativa può aver luogo nel corso della attività di vigilanza qualora l’ispettore ritenga che ricorrano i presupposti per una soluzione conciliativa di cui al comma 1. In tale caso, acquisito il consenso delle parti interessate, l’ispettore informa con apposita relazione la Direzione Provinciale del Lavoro ai fini dell’attivazione della procedura di cui ai commi 2, 3, 4 e 5. La convocazione delle parti interrompe i termini di cui all’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, fino alla conclusione del procedimento conciliativo”.
6. ESISTE UN PROCEDIMENTO VELOCE E POCO COSTOSO: IL DECRETO INGIUNTIVO
Il lavoratore che abbia una prova scritta del proprio credito (in genere, la busta paga non quietanzata) può chiedere a un avvocato di presentare ricorso per decreto ingiuntivo.
Si tratta di un procedimento che non dura più di tre/sei mesi (a seconda del tribunale) e che, senza bisogno di instaurare una causa e di chiamare le parti davanti al giudice, consente di ottenere dal tribunale (solo mediante il deposito dei documenti) un ordine di pagamento nei confronti del datore di lavoro.
Quest’ultimo, però, avrà poi 40 giorni dalla notifica del decreto per decidere se pagare, se non pagare (e subire un’esecuzione forzata) oppure se presentare una opposizione. Purtroppo, in quest’ultimo caso, si apre un giudizio ordinario, coi suoi tempi e procedure: il che potrebbe allungare di gran lunga i tempi di recupero del credito (ecco perché, spesso, l’opposizione è usata come strumento dilatorio, ossia per prendere tempo).
Una scappatoia potrebbe essere quella di chiedere, in prima udienza, al giudice, di dichiarare il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. In tal caso, il lavoratore, anche se pende una causa, potrà agire in esecuzione forzata.
7. SE MANCANO LE PROVE DEL CREDITO SI PUO’ INSTAURARE COMUNQUE UNA CAUSA ORDINARIA
Se il lavoratore ha perso il contratto di lavoro o la lettera di assunzione, non deve preoccuparsi più di tanto. Potrà sempre agire in tribunale presentando le buste paga, il CUD o qualsiasi altro documento che attesti l’esistenza del rapporto di lavoro.
In mancanza di tutto ciò, si può sempre ricorrere alle prove testimoniali.
Quand’anche manchino i documenti scritti attestanti il credito del lavoratore, quest’ultimo potrà valersi di testimoni. Ma per fare ciò dovrà instaurare una causa ordinaria, che certo è più lunga del ricorso per decreto ingiuntivo.
8. TI PUOI SEMPRE DIMETTERE SENZA PERDERE LA DISOCCUPAZIONE
Se il lavoratore non ottiene il pagamento dello stipendio, è suo diritto dimettersi in qualsiasi momento, senza dare il preavviso, ma comunque inviandone comunicazione e specificando la “giusta causa” del recesso (il mancato pagamento della busta paga).
In tale caso, anche se non è stato il datore di lavoro a disporre il licenziamento, il dipendente può comunque usufruire del contributo di disoccupazione. Infatti l’interruzione del rapporto di lavoro è avvenuto per causa a lui non imputabile.
A tal proposito, la circolare Inps n. 163 del 20 ottobre 2003 precisa quanto segue: “La circolare n. 97 del 4 giugno 2003, accogliendo l’orientamento indicato nella sentenza n. 269/2002 della Corte Costituzionale, prevede il pagamento dell’indennità ordinaria di disoccupazione anche quando vi siano state dimissioni “per giusta causa”, indicando, a titolo esemplificativo, alcune fattispecie, riportate di seguito alle lettere a), b) e c).
Sulla base di quanto finora indicato dalla giurisprudenza, si considerano “per giusta causa” le dimissioni determinate:
a) dal mancato pagamento della retribuzione;
b) dall’aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
c) dalle modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
d) dal c.d. mobbing, ossia di crollo dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi (spesso, tra l’altro, tali comportamenti consistono in molestie sessuali o “demansionamento”, già previsti come giusta causa di dimissioni). Il mobbing è una figura ormai accettata dalla giurisprudenza (per tutte, Corte di Cassazione, sentenza n. 143/2000);
e) dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda (anche Corte di Giustizia Europea, sentenza del 24 gennaio 2002);
f) dallo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 codice civile (Corte di Cassazione, sentenza n. 1074/1999);
g) dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente (Corte di Cassazione, sentenza n.5977/1985).
L’articolo 2119 codice civile (“Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto … a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto …”) demanda alla giurisprudenza il compito di enucleare le varie fattispecie di “giusta causa”. Per tale motivo, l’Inps può riconoscere l’indennità di disoccupazione solo nei casi in cui sussista una delle cause già indicate dalla giurisprudenza.
Relativamente alla presentazione delle domande, se il lavoratore dichiara che si è dimesso per giusta causa, dovrà corredare la domanda con una documentazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli articoli 38 e 47 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000) da cui risulti almeno la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo), impegnandosi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale. Laddove l’esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, si dovrà procedere al recupero di quanto pagato a titolo di indennità di disoccupazione, così come avviene nel caso di reintegra del lavoratore nel posto di lavoro successiva a un licenziamento illegittimo che ha dato luogo al pagamento dell’indennità di disoccupazione.
9. SE IL DATORE NON PAGA, DOPO L’ESECUZIONE FORZATA C’E’ IL FALLIMENTO
Potrebbe avvenire che, anche dopo aver perso la causa, o ricevuto un decreto ingiuntivo definitivo, il datore non intenda ugualmente pagare.
Il lavoratore potrebbe allora provare la carta dell’esecuzione forzata, verificando se l’imprenditore è titolare di conti correnti, immobili, automobili o altri beni appetibili per il pignoramento.
Ma qualora anche tale carta fallisca, c’è la possibilità di chiedere il fallimento del datore di lavoro. Si tratta di una scelta forte e che non consente di tornare indietro. Perciò va valutata con molta attenzione. Infatti, non è detto che dopo il fallimento il lavoratore venga pagato immediatamente. Al contrario. Per gli ultimi tre stipendi e il TFR ci penserà il Fondo di Garanzia presso l’Inps (ma anche per tale pagamento sarà necessario attendere diversi mesi); per i restanti crediti, invece, bisognerà insinuarsi al passivo del fallimento: con la possibilità che, se l’azienda è priva di attività, non si verrà mai soddisfatti.
(Scritto da: Lavorofisco.it)
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