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Lavoro a tempo determinato: rinnovo e misure di prevenzione degli abusi

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2012 22:30
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01/07/2012 22:30

La Corte di Giustizia con sentenza del 04/07/2006 ha affermato che non è consentito il rinnovo di contratti a tempo determinato se non sulla base di “ragioni obiettive”, ovvero di elementi concreti relativi in particolare all’attività di cui trattasi e alle condizioni del suo esercizio. In ordine alla nozione di contratti a tempo determinato “successivi”, la Corte ha ritenuto non conforme alle finalità della normativa europea la legislazione nazionale che consideri tali i soli contratti o rapporti di lavoro separati gli uni dagli altri da un lasso temporale pari o non superiore a 20 giorni lavorativi, posto che una tale previsione consentirebbe di assumere lavoratori in modo precario per anni, consentendo l’utilizzazione abusiva di siffatti rapporti da parte dei datori di lavoro.
L’ordinamento italiano ha recepito la direttiva 99/70/CE con il Decreto Legislativo del 6 settembre 2001 n. 368 che ha posto una clausola generale di legittimazione del contratto a tempo determinato che può essere stipulato ai sensi dell’art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto. Il contratto si risolve automaticamente alla scadenza e il recesso, prima di detto termine è disciplinato dall’art. 2119 c.c.; il termine può essere prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni, la proroga è ammessa una sola volta a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato, inoltre, deve essere rispettata la durata massima di tre anni ed è sempre richiesto il consenso del lavoratore.

Ai sensi dell’art. 5 in caso di continuazione del rapporto dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno, al 40% per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

(Corte di Giustizia UE , sez. grande, sentenza 04.07.2006 n° C-212/04 Altalex, 4 ottobre 2006. Nota di Raffaele Cirillo)
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